domenica 20 dicembre 2009


Natura morta, 1964

Natura morta, 1963

Paesaggio, 1963

Paesaggio, 1962

Natura morta, 1960


Natura morta, 1960

Cortile di via fondazza, 1956


Natura morta, 1959

lunedì 14 dicembre 2009

«Vi sono pittori per cui l'incisione rappresenta una via secondaria, e quasi di campagna, un modo di prendersi le vacanze dalla pittura: altri, per cui l'incisione diviene il fulcro stesso della forma pittorica. Se di questi ultimi fu Rembrandt il principe, è fra questi che si schiera anche Morandi» (Cesare Brandi)

domenica 13 dicembre 2009

Morandi e l'incisione


Natura morta con cinque oggetti

Cesare Brandi scrive dell’acquaforte in Morandi incisore,1946:

Quest’arte che non è mai estemporanea, che non si vale mai del fascino prestigioso che la morsura dell’acido può conferire anche al segno più casuale, riesce tuttavia a salvare, come e talora quasi più della pittura, la freschezza improvvisa dell’emozione, quel che di rorido, di trepido, di subitaneo, il manifestarsi stesso dell’immagine consente. E’ tale presenza, dal principio alla fine della lastra, che dà la misura dell’intensità di un’ispirazione, che non si arresta dunque al primo sbalzo fantastico, ma prosegue come un foco lento e tenace, e via via si alimenta in se stessa. Quando la lastra è compiuta, sembra davvero che d’un colpo solo sia stata impressa: e sul rame come sulla carta. E proprio allora che viene il desiderio di ripercorrere il lungo minuto cammino, che è rimasto scritto passo passo nei segnetti neri e nitidi. L’acquaforte, tenuta a mantenere in vista i suoi ingredienti per cui non c’è impasto di tavolozza, si consegna, e quasi pare di poterla svolgere all’incontrario, mentalmente e al rallentatore. Così la musica si dà nella scrittura, attraverso la precisa notazione; offre il segreto dei timbri, la formula delle armonie; la miscela dei contrappunti. Segreto, formula, miscela: ma quanto misteriosi ed evasivi, nell’apparente chiarissima ricetta. Non altrimenti le reti sottili di Morandi, le sue garze fluttuanti, i suoi rammendi invisibili: una volta investiti all’immagine, la suggellano in quella pura realtà mentale; ma non l’evocano, ne discendono”.

Natura morta, 1956. Olio su tela 40,5 x 35,4 cm
Mart, Collezione Giovanardi, Rovereto

"nell'ultimo quinquennio della sua vita, circa dal 1959 al 1964, sembrò che la pittura di Morandi fosse cambiata o in procinto di cambiare: improvvisamente, né solo nel veloce trattamento degli acquerelli, il pennello di Morandi segnava larghi strisci, senza unificarli, e non rapportava a una distanza ravvicinata gli oggetti, fossero sulla tavola o entro un paesaggio. Mi ricordo che molti [...] rimanevano interdetti: ma quei quadri non erano finiti… perché Morandi non li firmava? Perché invece erano finitissimi, nel senso che la freschissima immagine era fissata come un fiore con la rugiada […]La sua visione non era cambiata, ma l’apparizione dell’immagine era divenuta ancora più istantanea, vivida: l’attimo fuggente. E su quell’attimo fuggente si spense. […] La sicurezza di quelle straordinarie pennellate, così straordinarie come quelle di Velázquez (che, da vicino, non si vede niente) assicura, se mai si potesse revocare in dubbio, che le doti di pittore di Morandi arrivarono fino alla pittura più pittura, fatta di tocco, di pennellate di striscio, senza che si perdesse una stilla di quella meravigliosa sostanza cromatica, che era spazio luce e colore allo stato fluido come un profumo o un liquido etereo"
Cat. cit., Madrid-Barcellona, 1984-1985, p. 24.

giovedì 10 dicembre 2009

non solo bottiglie



Disegno di fiori 1946



Fiori 1949

mercoledì 9 dicembre 2009


Natura morta, 1948

Questo dipinto, datato 1948, è esemplare di quelle opere che sono definite "le grandi Nature morte della maturità". L'artista ha indagato uno spazio vuoto, ma ben delimitato (una mensola), nel quale trovano posto tre file di oggetti - omogenei per uso (bottiglie e caraffe), ma disomogenei per forma e colore - colpiti da luce piena.

Le ombre riportate sono, però, quasi assenti come i brillii creati dalla luce.

Gli oggetti in ultima fila sono schiacciati da quelli che li precedono; il pittore qui sceglie “semplicemente” di annullare la loro resa prospettica, complice il disegno, marcato e modulato da una linea piena, netta, ma resa incerta dal diverso spessore utilizzato, e l’uso sapiente del colore.

Lo stesso colore, infatti, scelto per la bottiglia ed il bicchiere in primo piano, il bianco, crea una forte sensazione di assenza di volume. La matericità è quindi annullata a favore di una composizione “forte”, geometrica, rigorosamente calibrata. Composizione estremamente moderna e nel contempo antica. Tornano alla mente richiami giotteschi uniti ad echi di contemporaneità.

Gli oggetti, nonostante siano disposti in maniera scalare, hanno la stessa altezza: questo contribuisce a trasmettere in chi guarda una sensazione di stupita attesa, domanda muta di assenza\presenza.

Come in certi sogni, la realtà altra traspare dall’immagine e questo permette di trascendere il reale ed arrivare ad un piano comunicativo puramente spirituale: si guarda, si vede e nel contempo ci si interroga. Questa è la forza, il fascino dell’opera morandiana.

martedì 8 dicembre 2009

"...e andando nel sole che abbaglia..."


Nel 1943 Morandi lascia Bologna, ormai divenuta troppo pericolosa, e si trasferisce a Grizzana. La guerra è , però, un evento impossibile da ignorare. Morandi dipinge dei paesaggi, paesaggi

"ridotti alle strutture elementari, ma percorsi da un respiro infinito"(Leymarie, 1970).

L'artista si sofferma sugli elementi naturali, l'uomo è il grande assente....vi è solo silenzio sgomento.

Mi torna in mente una poesia scritta anni prima da Montale (1916, poi edita nel 1925, raccolta Ossi di Seppia)

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.


Arcangeli parla "di solitudine estrema e mortalmente serena"; Ragghianti del "il respiro di un tempo epico" e Roberto Tassi afferma che "si svolge in quegli anni forse la più solenne e commovente meditazione sulla natura che l'arte europea del nostro secolo abbia conosciuto".
Natura morta 1936

“… la precisa, ricostruita interezza dei volumi cede allora alla forza geminante, all’estro
plastico del colore divenuto denso, rotto, ora vibrante e molle come un epitelio […]la
pennellata a rilievo cangia nello stesso tono sol con le incidenze diverse della luce
sulla pasta del colore: è come se l’oggetto divenisse la sua ombra, e l’ombra invertisse
i rapporti luminosi con l’oggetto…”

Cammino di Morandi, 1939/41

lunedì 7 dicembre 2009

“Penata lucidità”



Nel 1938-1939, dopo essere uscito dalla sua personale discesa nel profondo degli anni 1929-1937, Morandi dà vita a una serie incredibile di Nature morte, in cui esplodono cromie inattese di vividi rossi-aragosta, tocchi perlacei di bianco, turchini gemmati di lapislazzulo.

“…Nulla è meno astratto, meno avulso dal mondo, meno indifferente al dolore, meno sordo alla
gioia, di questa pittura che apparentemente si ritira ai margini della vita e si interessa,
umbratile, ai polverulenti ripostigli della cucina…”

domenica 6 dicembre 2009


Natura morta (pere), 1924, olio su tela su tavola, cm 21x29, Mart, collezione L.F.

“…L’oggetto […] nel quotidiano confronto tra l’artista e il suo modello, riacquistava circostanze nuove, non dedotte per imitazione, ma individuate, scoperte, isolate: di lì investite all’archetipo, che fonde nella nuova struttura. L’oggetto si costituisce allora alla fantasia, non come quella tale bottiglia polverosa, ma come ipotiposi che riempie la coscienza, rende la coscienza a se stessa quasi tangibile e certo visibile: dove è già il trapasso dall’immagine mentale alla figurazione pittorica."Cammino di Morandi, 1939/4

Scrive Cesare Brandi che il 1924 è "uno dei momenti più alti di tutta la pittura di Morandi. E' un momento di raggiunta concordia, di convenienza col mondo".


E i Fiori donati nel 1984 dalle sorelle Morandi al Comune di Bologna sembrano proprio appartenere a questa stagione felice dell'arte morandiana: la forma cilindrica del vaso è nitida e tersa, ancora legata alla poetica dei "Valori plastici"; le corolle sono quelle dei fiori di campo appena colti e fermati nell'immediatezza di una goccia di rugiada, come accarezzati da una brezza leggera che ne sfoglia i petali vellutati; ma è soprattutto la Luce, aurorale, liquida, dorata come miele, a testimoniare della magia dell'ora, a creare una sorta di pulviscolo di sole che funge da filtro della memoria, a dar corpo a quella "architettura di un istante" che Jean-Michel Folon coglie con acuta sensibilità nei fiori di Morandi (Parigi, 1985).

mercoledì 2 dicembre 2009

Arcangeli e Morandi

Anche Francesco Arcangeli si è interessato dell'opera di Morandi, ma il pittore ha ritenuto la visione del critico troppo lontana dalla propria poetica per accettarla.

domenica 29 novembre 2009

trascrizione dell'intervista a Morandi, "the Voice of America", 25 aprile 1957

• Giorgio Morandi

Intervista a Giorgio Morandi per “The Voice of America”, incisa il 25 aprile 1957

“… Ritengo che esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile, è la cosa che maggiormente mi interessa. Il compito educativo possibile alle arti figurative ritengo sia, particolarmente nel tempo presente, quello di comunicare le immagini e i sentimenti che il mondo visibile suscita in noi. Ciò che noi vediamo ritengo sia creazione, invenzione dell’artista, qualora egli sia in capace di far cadere quei diaframmi, cioè quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose. Ricordava Galileo: il vero libro della filosofia, il libro della natura, è scritto in caratteri estranei al nostro alfabeto. Questi caratteri sono: triangoli, quadrati, cerchi, sfere, piramidi, coni ed altre figure geometriche.
Il pensiero galileiano lo sento vivo entro la mia antica convinzione che i sentimenti e le immagini suscitate dal mondo visibile, che è mondo formale, sono molto difficilmente esprimibili, o forse inesprimibili con le parole.
Sono infatti sentimenti che non hanno alcun rapporto o ne hanno uno molto indiretto con gli affetti e con gli interessi quotidiani, in quanto sono determinati appunto delle forma, dal colore, dallo spazio e dalla luce.
Sono lontano comunque dalla pretesa di voler stabilire norme all’operare dell’artista e di definire una poetica.
D. Che crede della pittura astratta?
R. La Pittura astratta ha dato opere importanti, se noi pensiamo, ad esempio, per fare un solo nome a Paul Klee … al primo cubismo … Braque … Picasso.
Per me non vi è nulla di astratto; però ritengo che non vi sia nulla di più surreale e nulla di più astratto del reale…”

La costituzione dell'oggetto

Natura morta, 1930


Meditando sul processo creativo dell'artista, Brandi dice:

“… L’oggetto si costituisce allora alla fantasia, non come tale bottiglia polverosa, ma come ipotesi che riempie la coscienza, rende la coscienza a se stessa quasi tangibile e certo visibile: dove è già il trapasso dall’immagine mentale alla figurazione pittorica…”

Scritti d’arte contemporanei, Saggio, Cammino di Morandi, 1939/41

venerdì 27 novembre 2009

Natura morta, 1920 olio su tavola, 30,5 x 44,5 cm


La Natura morta con quattro oggetti ben scanditi sul piano - oggetti di esplicito carattere geometrico e di affascinata impostazione metafisica nell'ardente monocromo che svaria dal bianco al bruno - è una delle rarissime opere su tavola dipinte dall'artista.

Stimata da tutti gli interpreti morandiani come uno dei suoi migliori esempi della poetica dei “Valori plastici", la Natura morta viene esposta a cura dell'artista stesso alla Quadriennale del 1939.

Commenta Brandi:

"...E come la lucidità esasperata e glaciale di prima (cioè dal momento metafisico) si poteva perfino dedurre dalla stesura senza grana del colore, liscio come una crema, ecco che, appena un anno dopo, mentre le usate, cognite forme degli oggetti riappaiono in una luce vacillante, la pasta del colore si ispessisce, si accumula in strati. Dalla gamma spenta, sottratta, rifioriscono toni più densi se non più brillanti. Restano i volumi isolati e partecipi, nelle loro superfici aderenti, momento ritmico deciso: sono, per così dire, le arsi sulle quali si fonda il ritmo e la successione dei vuoti, non meno misurati, non meno capaci dei pieni...".

Cammino di Morandi, 1939/41

Il periodo metafisico

Natura morta, 1918
Olio su tela, 80x65 cm.
Firmato e datato in basso a
sinistra “Morandi 1918”.
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna e
Contemporanea.




“… periodo che pochi anni dopo segue a questi primi paesaggi e che anche per Morandi passa per Metafisico, per quanto fermamente distinti da De Chirico e da Carrà.Per lui il transito dai paesaggi alle nature morte era aperto infatti per disposto naturale: una scelta così stringata, un’elezione così ridotta e quasi critica, lenta tenace e dolorosa come un’introspezione, esigeva più che una cernita sul posto, un concentramento di sparsi motivi, una preordinata architettura. NASCEVA L’OGGETTO. Ma l’oggetto, lungi dal divenire enigmatico, o valere come componente astratta di una sciarada figurata, lasciava ancora percepire l’effrazione dal contesto naturale a cui appartiene, pur nel momento che, per la presentazione spoglia e irrelativa, si scolpa da qualsiasi ombra di intimismo borghese...non vi è neppure ricerca o ironia di un ordine naturale diverso, nato come dall’accozzo di forme astratte, in una collusione stranamente vitale: come spesso è in De Chirico e in Carrà […]. Ma in Morandi che assume il cilindro, l’ovoide, la sfera, le sagome da disegno e le riquadrature delle porte, come momentanei condensatori del suo potenziale interno, sicchè sembrano rappresentare un fortuito incontro, […] la costruzione di uno spazio omogeneo non è turbata […] Lo spazio di queste nature morte non è meno costruito mentalmente che in Paolo Uccello, ma la rigorosa concezione logica, che vi presiede, non rimane un’intelaiatura astratta; [...] Vi si riconosce il momento, lucido fino all’esasperazione, in cui l’intenzione plastica giunge a concretarsi…”

Cammino di Morandi 1939/41

Picasso e Paolo Uccello



“…E’ nella costruzione geometrica, scandita, in questo gioco di campiture , piatte come in una mappa catastale, e rigorosamente bilanciate nello specchio della cornice, quasi con l’archipenzolo, è in questa euritmia ridotta ad una simmetria arida che occorre vedere tanto l’affievolirsi, come in un’eco lontana, di Picasso, quanto il primo e difficile assorbimento dal nostro primo Quattrocento: lo spazio geometrico di Paolo Uccello ridotto alla forma della più elementare geometria, la geometria piana, ma in quella perfettamente concluso: e i volumi proposti e i colori dosati in stretta gerarchia…”
Cammino di Morandi, 1939/41

lo scolaro della natura

Dice Brandi nel saggio Cammino di Morandi, Scritti d’arte contemporanei, 1939/41

“…Il nostro Morandi che, come un antico si professa solo scolaro della Natura, potè a questo punto contemplare con tanta obbedienza i suoi diletti oggetti, non perché scolaro della Natura, ma perché era la sua fantasia che si vestiva di sostanza terrena…”

giovedì 26 novembre 2009

Cesare Brandi e Morandi

(quadro proprietà di Brandi e Magnani)

Cesare Brandi

"…Io ho avuto ed ho la fortuna di conoscere grandi artisti,
e dall'esperienza del loro fare ho tratto più che dai libri
di estetica, ma da nessuno ho appreso una lezione
così pura e limpida come da Morandi…"


Chi è Cesare Brandi

Cesare Brandi, (Siena 1906-1987), è critico e storico dell’arte italiano. Tra i suoi lavori spiccano le opere dedicate a questioni di pittura italiana (La pittura riminese del Trecento, 1935), in particolare d’area senese (Quattrocentisti senesi, 1949). Ha Curato il catalogo scientifico della Pinacoteca di Siena (1933) e ha pubblicato fondamentali monografie su artisti antichi (Giovanni di Paolo, 1947; Duccio, 1951) e moderni, sia italiani, come Burri, Morandi e Manzù, sia stranieri, quali Gauguin e Picasso.

Cesare Brandi si è dedicato, anche, alle problematiche legate all’architettura, con i saggi Struttura e architettura (1967) e La prima architettura barocca (1972).

Le sue posizioni teoriche riguardo al rapporto tra conoscenza e creazione artistica e sulla struttura dell’opera d’arte, sono state espresse sistematicamente nei lavori Segno e immagine (1960), Le due vie (1966) e Teoria generale della critica (1974).
Nel 1939 è stato tra i fondatori dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, che ha diretto sino al 1960, e del “Bollettino” pubblicato dall’ente (dal 1951); illuminanti riflessioni su quest’attività di conservazione e recupero delle opere d’arte si trovano nel suo fondamentale saggio Teoria del restauro, uscito nel 1963.

Brandi e la meditazione sull’opera di Morandi, storia di una critica

Il pensiero critico di Brandi è un progresso intellettuale costantemente in fieri, arricchito dalla conoscenza personale del più anziano Morandi. Un profondo legame di amicizia sempre rinverdito dalla frequentazione diretta e dalle lettere che i due grandi intellettuali si sono scambiati nel corso di trenta anni.

Morandi è stato un personaggi spesso frainteso e non perfettamente compreso dalla critica artistica a lui contemporanea, lo si è voluto riconoscere in una tematica - è stato definito “il pittore delle bottiglie” – ma la sua analisi della realtà è andata ben oltre le semplici apparenze; il mondo delle “povere cose” era per lui una finestra dalla quale librarsi per esprimere ciò che il mondo gli narrava.

Brandi ha compreso prima di tutti questo - la portata universale della ricerca morandiana racchiusa in quel linguaggio fatto di oggetti umili e spesso minimamente variati- e ha raccontato la storia del suo viaggio, il suo lungo cammino per citare Longhi, in alcuni fondamentali saggi.

Dice Marilena Pasquali nella prefazione al carteggio Morandi/Brandi:

“..L’artista trova nel critico più giovane – 16 anni li separano – una sorta di alter ego che condivide la sua impostazione di pensiero ed è in grado, da maestro, di tradurre in parole le sue immagini o , meglio, di affiancare un raffinatissimo linguaggio verbale a quello visivo, altrettanto raffinato e complesso.”

Il primo saggio del 1942 nasce dal desiderio di “fare aria e luce intorno al suo nome[…] rivelare la novità che significava, la selezione di cultura che individuava […] far capire che non era né lo strascico del futurismo né il decotto della pittura francese; dichiararne infine l’italianità, come definizione critica di un fatto storico, e non come una sdrucciolevole piaggeria nazionalistica.

Segue la pubblicazione del “Carmine o della pittura”, importante scritto brandiano sulla problematica estetica, per il quale il saggio su Morandi è stato un punto di partenza: la definizione teorica del pensiero di Brandi segue la riflessione pratica sulle opere d’arte (lo storico ha detto “Io ho avuto ed ho la fortuna di conoscere grandi artisti, e dall’esperienza del loro fare ho tratto più che dai libri di estetica, ma da nessuno ho appreso una lezione così pura e limpida come da Morandi..”).

Sullo studio di Morandi nascono concetti cardine fondamentali in Brandi come la “ costituzione di oggetto” o il “colore di posizione”.

In teoria generale della critica del 1947 scrive:

…Una bottiglia vuota e polverosa, come nel caso di Morandi, viene isolata e proposta in un altro contesto, in cui non è d’uso, in cui anzi c’è straniamento dall’uso: valgono solo relazioni cromatiche, luminose, plastiche. La bottiglia resta bottiglia […] ma folgorata, inutilizzata, che è quanto dire neutralizzata, sospesa dalla sua utensilità e quindi dal significato che vi corrisponde…

La seconda edizione è edita nel 1952 e Brandi, nel Poscritto, riconosce di aver esemplificato il “colore di posizione” proprio nella pittura di Morandi. Brandi coglie l’occasione anche per riflettere brevemente sulla condizione italiana del dopoguerra e sulla pittura italiana; il Poscritto all’opera ospita la celebre e tanto criticata definizione “per noi arte si ha solo se ci si indirizza all’arte come forma e non come vita…” e la stroncatura del futurismo, letto come “ attardato moto romantico”.

La riflessione sull’amico continuerà in più occasioni.

Dopo la morte del pittore, Brandi in occasione della grande Mostra Retrospettiva tenuta a Bologna nel 1966 scrive il saggio “Morandi a breve distanza”. E’ un momento di riflessione sull’opera globale dell’amico e cercare di precisarne alcuni caratteri fondamentali.
“Diverso radicalmente da tutti, Morandi, diverso rimase per tutto il suo lungo cammino”,

Cesare Brandi, Catalogo, Madrid-Barcellona, 1984-1985

il periodo cubista



“… avveniva in questi anni, trascorso il periodo germinante del Cubismo analitico, la cosciente presa di possesso di un materiale espressivo, che dall’accorta, sottilissima, vivisezione dei solidi ricuperava incidenze formali inascoltate e impreviste[…]. Le forme stesse degli oggetti – così in un precipitato il liquido uniforme si disgiunge rinserrandosi in cristalli distaccati e aggregati l’un sull’altro – si affiancavano nel 1914, taglienti ed erette simili a lame di clteli, e creavano crepe ottili, distacchi di vuoti minimi, saldati nei contorni. Non vi era dispersione, non residuo: l’occupazione della tela era già totale…”

Cesare Brandi,Cammino di Morandi, 1939/41

mercoledì 25 novembre 2009

“…cielo vasto di solitudine senza approdi…”



La prima volta che ho guardato questo quadro sono rimasta indifferente, poi ho letto le parole di Brandi....

“…una piccola tela, nella quale il pittore, ventunenne appena, fermava in pochi segni densi, raggrumati, la visione, non idillica, non accogliente, di un paese, la cui linea d'orizzonte, improvvisamente tumefatta, come un'onda che sta per frangersi, sbatteva contro un cielo vasto di solitudine senza approdi, mentre pochi arbusti, quatti e butterati presso capanne cieche, consegnavano una stessa accorata, irraggiungibile lontananza…”

“A guardare quel primo fatidico paesaggino del 1911, ancora si resta colpiti dalla sua pregnanza e dalla sua mancanza di codice. Contiene infatti, come un embrione, tutte le componenti strutturali della pittura successiva di Morandi, ma pressocchè inespresse, appunto perché Morandi non disponeva ancora di un codice in cui esprimerle. C’è la risoluzione dell’oggetto in masse semplici, la riduzione del colore quasi al monocromo, il filtraggio d’una luce che si diffonde senza annullare la sorgente…”

...ho riguardato il quadro e ne sono rimasta rapita!

martedì 24 novembre 2009

“Artista difficile e segreto” C.Brandi


Natura morta, 1929, olio su tela, cm 39x52,7 Mart, Collezione L.F

Morandi


Chi è GIORGIO MORANDI

La formazione

Giorgio Morandi nasce a Bologna il 20 luglio 1890. E' il primo di cinque figli. Il ragazzo dimostra una precoce predisposizione artistica ed è incoraggiato e supportato dalla famiglia. Nel 1907 il giovane s'iscrive all'Accademia di Belle Arti. Fra i suoi compagni di corso sono Osvaldo Licini e Severo Pozzati, che risultano suoi compagni già nel 1909-1910. Nel 1910 muore il padre e Morandi, che non ha neanche 20 anni, diventa capofamiglia.
Fino al 1911 il suo iter scolastico è eccellente, gli ultimi due anni sono segnati, invece da contrasti con i professori dovuti ai mutati interessi di Morandi che ha già individuato un proprio, autonomo linguaggio, come si può riscontrare nel Paesaggio del 1911e nel Ritratto della sorella del 1912-1913.
Noti sono i riferimenti artistici che il giovane individua e che segnano la sua formazione: da Cézanne a Henri Rousseau; da Picasso a André Derain. Parallelo è l'interesse che Morandi sviluppa per la grande arte italiana del passato: nel 1910 egli si reca a Firenze, dove può ammirare i capolavori di Giotto, Masaccio e Paolo Uccello nelle chiese e agli Uffizi.
Nel 1912 incide per la prima volta un'acquaforte Ponte sul Savena della quale Lamberto Vitali sottolinea l'impostazione cézanniana.

Nell'estate del 1913 la famiglia Morandi si reca per la prima volta in villeggiatura a Grizzana, dove il giovane realizza i suoi primi Paesaggi .

Il periodo futurista
Si interessa alla poetica futurista (19136/14) e grazie all’amicizia con Osvaldo Licini e Giacomo Vespignani Morandi entra in contatto con Marinetti, Boccioni e Russolo.

Il 1914 è considerato anno chiave per Morandi: è l’anno in cui inizia a dipingere le sue Nature morte e quello in cui inizia a esporre: il 21 e 22 marzo si tiene all'Hotel Baglioni di Bologna una mostra a cinque, in cui figurano, a fianco di Morandi, Osvaldo Licini, Mario Bacchelli, Giacomo Vespignani e Severo Pozzati. L'iniziativa fa discutere perché viene vista come mostra “secessionista” o come atto di matrice futurista. Una Natura morta ed un disegno di Morandi sono dopo pochi giorni ripresentati alla Prima Esposizione Libera Futurista che si apre il 13 aprile alla Galleria Sprovieri di Roma. Morandi è invitato anche alla Seconda Secessione Romana, dove presenta il Paesaggio di neve del 1913, mentre il gruppo futurista ne viene programmaticamente escluso.

La I guerra mondiale
Inizia la carriera scolastica insegnando disegno nelle scuole elementari, incarico che manterrà fino al 1929. Nel 1915 viene chiamato alle armi, ma si ammala gravemente e viene, dopo un ricoverato nel locale ospedale militare, rimandato a casa e riformato. L’esperienza della guerra, di tutti quei giovani mandati a morire, lo consuma lentamente; la sorella Maria Teresa, allora undicenne, ricorda “la sua alta figura magrissima, quasi scheletrica, con il volto scavato; non riusciva più né a mangiare né a dormire”.

Non riesce quasi a lavorare. Poi torna a dipingere, ma di questi anni restano poche opere perché – come ricorda Lamberto Vitali – “molte ne distrugge”. Dopo le Bagnanti , i Paesaggi e le Nature morte del 1915-1916, durante l'inverno del 1917 si ammala di nuovo. Di quest'anno restano con qualche certezza soltanto i Fiori di collezione privata milanese e un Paesaggio estivi di ritmo disteso.

Il periodo metafisico ed il Novecento
Nel 1918/19 si avvicina all’arte metafisica, ma porta avanti la propria ricerca con autonomia.

Il 18 marzo 1918 il primo articolo monografico su Morandi, a firma di Riccardo Bacchelli, appare sul quotidiano romano “Il Tempo”.

Alla fine del 1918 conosce Mario Broglio che offre a Morandi un contratto per le sue opere, contratto stipulato il 26 dicembre del 1919, in essere fino al 1924.
Nella mostra di Firenze del 1922, la sua opera viene presentata in catalogo da un testo di De Chirico:“ Egli partecipa in tal modo del grande lirismo creato dall'ultima profonda arte europea: la metafisica degli oggetti più comuni”. Degli anni 1922-1925 è una serie di Paesaggi luminosi che, come ricorda Vitali, “non sarebbero comprensibili senza l'esempio di Corot e non soltanto per le sue soluzioni rigorosamente tonali”.

Morandi è presente alle due mostre del Novecento italiano alla Permanente di Milano del 1926 e nel 1929 e, pur non partecipando attivamente alle vicende del gruppo di Margherita Sarfatti, invia sue opere in diverse rassegne.

L'artista si avvicina al gruppo degli intellettuali de “Il Selvaggio”, rivista fondata e diretta da Mino Maccari a partire dal 1924; con loro si presenta alla Prima Esposizione Internazionale dell'Incisione Moderna che si tiene a Firenze nel 1927. Maccari gli dedica un lungo articolo in “Il Resto del Carlino”, in data 8 giugno 1927, mettendo in risalto l'“italianità” e la “genuinità” dell'arte morandiana”, così come farà Leo Longanesi l'anno successivo in “L'Italiano”, definendo Morandi “il più bel esemplare di Strapaese”. La consacrazione su questa via verrà quattro anni dopo quando un interno numero de “L'Italiano”, in data 10 marzo 1932, sarà dedicato interamente a Morandi con un testo critico di Ardengo Soffici.

Dopo aver insegnato per molti anni nelle scuole comunali di disegno, nel febbraio del 1930 ottiene “per chiara fama” e “ senza concorso” la cattedra di incisione presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna, ove insegnerà fino al 1 ottobre 1956, quando, su sua specifica richiesta, viene collocato a riposo dopo più di ventisei anni di insegnamento.

L'artista bolognese espone più volte alla Biennale di Venezia e all'estero: 1929 Premio Carnegie di Pittsburgh (poi 1930, 1933 e 1936 e altre tre volte nel secondo dopoguerra); 1931 Settimana Italiana di Atene; 1933 presso il Kunstlerhaus di Vienna, rassegna “ Moderne Italienische Kunst”; 1934 Mostra d'Arte Italiana organizzata dalla Biennale di Venezia negli Stati Uniti; 1935 mostra d'arte italiana contemporanea al Jeu de Paume di Parigi; 1937 Esposizione Universale di Parigi; 1937 mostra organizzata dalla Biennale di Venezia a Berlino; 1938 rassegna alla Kunsthalle di Berna; 1939 “Golden Gate Exhibition a San Francisco; 1940 mostra d'arte italiana a Zurigo.

Ancora più rilevante della sua presenza alle Biennali veneziane, è quella alle Quadriennali romane: nel 1931 e nel 1935 Morandi fa parte della commissione di accettazione ed è presente anche come espositore con poche opere significative ( Natura morta con la fruttiera del 1931).

La II guerra mondiale
Il “caso Morandi” esplode nel 1939, alla terza edizione della mostra romana: Morandi ha un'intera sala personale con 42 oli, 2 disegni e 12 acqueforti e ottiene il secondo premio per la pittura, alle spalle del più giovane Bruno Saetti.

Si scatenano le polemiche sia sull'attribuzione del primo premio, sia sul valore intrinseco della sala morandiana. Morandi continua a lavorare nello studio di via Fondazza e durante le estati a Grizzana.
Dopo lo scoppio della guerra l'artista, nel giugno del 1943, si ritira sfollato nel paese appenninico, ove dipinge i Paesaggi e le Nature morte del 1942-1943. Ma l’angoscia che lo aveva colpito negli anni della prima guerra mondiale ritorna, si ammala.

Nella primavera del 1945 Roberto Longhi presenta alla Galleria del Fiore di Firenze una personale dell'amico; mentre si riaccendono le polemiche sull' “impegno”, il primo premio per la pittura della Biennale di Venezia è assegnato a Morandi. Nello stesso anno, Carlo Alberto Petrucci allestisce alla Calcografia Nazionale di Roma una sua rassegna antologica di acqueforti.

Il dopoguerra
Morandi gode del favore dei più esclusivi ambienti internazionali e alcune sue opere vengono ospitate in prestigiose rassegne nel Nord Europa e negli Stati Uniti.

A consacrazione di tale stima critica, giunge nel 1957 il primo premio per la pittura conferitogli alla quarta Biennale di San Paolo del Brasile, dove nel 1953 aveva ottenuto il primo premio per l'incisione.

E' d'altronde sufficiente scorrere l'elenco delle esposizioni all'estero per rendersi conto di quanto sia considerata l'opera del maestro bolognese, con mostre personali di rilievo al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles nel 1949 (grafica), al Gemeentemuseum dell'Aja e alle New Burlington Galleries di Londra nel 1954, al Kunstmuseum di Winterthur nel 1956, alla World House Gallery di New York nel 1957 e nel 1960, a Siegen nel 1962 dove gli viene assegnato il Premio Rubens, al Badischer Kunstverein di Karlsruhe nel 1964.

Dopo circa un anno di malattia, Giorgio Morandi si spegne a Bologna il 18 giugno del 1964.

Si può dipingere ogni cosa, basta soltanto vederla.


Vi voglio proporre di analizzare insieme dei quadro dell'artista Giorgio Morandi, attraverso gli occhi di un critico d'arte ormai scomparso, Cesare Brandi. Cesare Brandi è stato una delle più grandi voci intellettuali del suo tempo ed è stato uno dei primi ad accorgersi della grandezza del pittore bolognese, considerato, invece, da molti solo “il pittore delle bottiglie”. La sua profonda conoscenza di Morandi sia a livello umano sia a livello di poetica è alla base della intima comprensione della grandezza dell’amico che egli dimostra nelle penetranti pagine che ci ha lasciato sull’artista.

giovedì 5 novembre 2009

Brandi e Morandi, l'amicizia tra un artista e un critico d'arte

Il poter leggere l’opera di un artista come Morandi attraverso gli occhi ed il pensiero critico di un grande intellettuale come è stato Brandi è un’occasione di unica nel suo genere.

“…Né forse alcuno, prima di Morandi, aveva parlato con tale intensità attraverso l'evocazione di oggetti inanimati, poiché, oltre i supremi valori figurativi - le squisite ricerche cromatiche, le audaci soluzioni spaziali - vi è qualcosa, in queste Nature morte, che oltrepassa, non dico certo il soggetto, ma il loro esser pittura, e sommessamente canta l'umano. Nel momento stesso che quelle fiasche e quelle bottiglie si affermano davanti ai nostri occhi in modo indimenticabile e incomparabile, la loro forma cede a un afflato che le scompone, e riconduce diritto all'animo, all'uomo. Nulla è meno astratto, meno avulso dal mondo, meno indifferente al dolore, mono sordo alla gioia, di questa pittura, che apparentemente si ritira ai margini della vita, e si interessa, umbratile, ai pulverulenti ripostigli di cucina…”

lunedì 19 ottobre 2009