giovedì 26 novembre 2009

Cesare Brandi e Morandi

(quadro proprietà di Brandi e Magnani)

Cesare Brandi

"…Io ho avuto ed ho la fortuna di conoscere grandi artisti,
e dall'esperienza del loro fare ho tratto più che dai libri
di estetica, ma da nessuno ho appreso una lezione
così pura e limpida come da Morandi…"


Chi è Cesare Brandi

Cesare Brandi, (Siena 1906-1987), è critico e storico dell’arte italiano. Tra i suoi lavori spiccano le opere dedicate a questioni di pittura italiana (La pittura riminese del Trecento, 1935), in particolare d’area senese (Quattrocentisti senesi, 1949). Ha Curato il catalogo scientifico della Pinacoteca di Siena (1933) e ha pubblicato fondamentali monografie su artisti antichi (Giovanni di Paolo, 1947; Duccio, 1951) e moderni, sia italiani, come Burri, Morandi e Manzù, sia stranieri, quali Gauguin e Picasso.

Cesare Brandi si è dedicato, anche, alle problematiche legate all’architettura, con i saggi Struttura e architettura (1967) e La prima architettura barocca (1972).

Le sue posizioni teoriche riguardo al rapporto tra conoscenza e creazione artistica e sulla struttura dell’opera d’arte, sono state espresse sistematicamente nei lavori Segno e immagine (1960), Le due vie (1966) e Teoria generale della critica (1974).
Nel 1939 è stato tra i fondatori dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, che ha diretto sino al 1960, e del “Bollettino” pubblicato dall’ente (dal 1951); illuminanti riflessioni su quest’attività di conservazione e recupero delle opere d’arte si trovano nel suo fondamentale saggio Teoria del restauro, uscito nel 1963.

Brandi e la meditazione sull’opera di Morandi, storia di una critica

Il pensiero critico di Brandi è un progresso intellettuale costantemente in fieri, arricchito dalla conoscenza personale del più anziano Morandi. Un profondo legame di amicizia sempre rinverdito dalla frequentazione diretta e dalle lettere che i due grandi intellettuali si sono scambiati nel corso di trenta anni.

Morandi è stato un personaggi spesso frainteso e non perfettamente compreso dalla critica artistica a lui contemporanea, lo si è voluto riconoscere in una tematica - è stato definito “il pittore delle bottiglie” – ma la sua analisi della realtà è andata ben oltre le semplici apparenze; il mondo delle “povere cose” era per lui una finestra dalla quale librarsi per esprimere ciò che il mondo gli narrava.

Brandi ha compreso prima di tutti questo - la portata universale della ricerca morandiana racchiusa in quel linguaggio fatto di oggetti umili e spesso minimamente variati- e ha raccontato la storia del suo viaggio, il suo lungo cammino per citare Longhi, in alcuni fondamentali saggi.

Dice Marilena Pasquali nella prefazione al carteggio Morandi/Brandi:

“..L’artista trova nel critico più giovane – 16 anni li separano – una sorta di alter ego che condivide la sua impostazione di pensiero ed è in grado, da maestro, di tradurre in parole le sue immagini o , meglio, di affiancare un raffinatissimo linguaggio verbale a quello visivo, altrettanto raffinato e complesso.”

Il primo saggio del 1942 nasce dal desiderio di “fare aria e luce intorno al suo nome[…] rivelare la novità che significava, la selezione di cultura che individuava […] far capire che non era né lo strascico del futurismo né il decotto della pittura francese; dichiararne infine l’italianità, come definizione critica di un fatto storico, e non come una sdrucciolevole piaggeria nazionalistica.

Segue la pubblicazione del “Carmine o della pittura”, importante scritto brandiano sulla problematica estetica, per il quale il saggio su Morandi è stato un punto di partenza: la definizione teorica del pensiero di Brandi segue la riflessione pratica sulle opere d’arte (lo storico ha detto “Io ho avuto ed ho la fortuna di conoscere grandi artisti, e dall’esperienza del loro fare ho tratto più che dai libri di estetica, ma da nessuno ho appreso una lezione così pura e limpida come da Morandi..”).

Sullo studio di Morandi nascono concetti cardine fondamentali in Brandi come la “ costituzione di oggetto” o il “colore di posizione”.

In teoria generale della critica del 1947 scrive:

…Una bottiglia vuota e polverosa, come nel caso di Morandi, viene isolata e proposta in un altro contesto, in cui non è d’uso, in cui anzi c’è straniamento dall’uso: valgono solo relazioni cromatiche, luminose, plastiche. La bottiglia resta bottiglia […] ma folgorata, inutilizzata, che è quanto dire neutralizzata, sospesa dalla sua utensilità e quindi dal significato che vi corrisponde…

La seconda edizione è edita nel 1952 e Brandi, nel Poscritto, riconosce di aver esemplificato il “colore di posizione” proprio nella pittura di Morandi. Brandi coglie l’occasione anche per riflettere brevemente sulla condizione italiana del dopoguerra e sulla pittura italiana; il Poscritto all’opera ospita la celebre e tanto criticata definizione “per noi arte si ha solo se ci si indirizza all’arte come forma e non come vita…” e la stroncatura del futurismo, letto come “ attardato moto romantico”.

La riflessione sull’amico continuerà in più occasioni.

Dopo la morte del pittore, Brandi in occasione della grande Mostra Retrospettiva tenuta a Bologna nel 1966 scrive il saggio “Morandi a breve distanza”. E’ un momento di riflessione sull’opera globale dell’amico e cercare di precisarne alcuni caratteri fondamentali.

Nessun commento:

Posta un commento